IMPATTO AMBIENTALE

Quando si usano oli vegetali o grassi animali si fanno delle scelte che hanno un impatto sull’ambiente, sull’uomo, e sulla coscienza delle persone. Ci sono ad esempio delle persone che non userebbero mai un sapone fatto con grassi di origine animale , e neppure farebbero un uso alimentare di questi grassi.

Ognuno di noi ha il suo punto di vista ed io credo che tutti dobbiamo avere il massimo rispetto e considerazione del punto di vista di ciascuno, senza cercare di imporre il nostro, e rimanendo sempre in un ambito di dibattito razionale.

E’ bene però avere coscienza della realtà, e comprendere tutti i fenomeni che stanno dietro alle scelte ed all’operato dell’uomo, in particolare quelle scelte che impattano fortemente sull’ambiente e sulle condizioni di vita delle persone. Solo partendo dalla conoscenza della realtà saremo in grado di farci compiutamente un’opinione e seguire una strada piuttosto che un’altra.

Tra tutti gli oli utilizzati per fare il sapone c’è n’è uno in particolare sul quale esistono forti dubbi e resistenze da parte di molti circa la sua utilizzabilità: l’olio di palma, ed assieme a lui l’olio di noccioli di palma (palmisti) derivato dalla spremitura dei semi della palma.

palma da olio

L’origine di questi dubbi e resistenze risiede nel fatto che, negli ultimi trent’anni circa, la coltivazione della palma da olio si è sviluppata a ritmi incredibili, da parte di società multinazionali senza scrupoli, nelle aree tropicali, sopratutto in Indonesia, a scapito di migliaia e migliaia di chilometri quadrati di foresta selvaggia ed espellendo le popolazioni autoctone che in queste foreste trovavano i mezzi per la propria sussistenza e per la propria vita. Queste foreste sono state rase al suolo e soppiantate da imponenti coltivazioni di palma da olio, nelle quali, contrariamente a quanto accadeva prima nella foresta, si è iniziato a far uso di concimazioni chimiche e di antiparassitari di ogni sorta. Gli animali che vivevano nelle foreste sono stati sloggiati senza alcun riguardo ed alcune specie si sono estinte per mancanza di habitat. Questi fatti sono incontestabili.

Accanto però a questo tipo di coltivazioni “artificiali” la palma da olio è sempre esistita, sopratutto nelle zone equatoriali dell’Africa, come pianta spontanea e da sempre è stata utilizzata dall’uomo per farne un uso alimentare. Anzi per molte popolazioni africane la palma da olio ha costituito da sempre (olio di palma rosso) una delle poche, se non l’unica fonte alimentare di acido oleico e di acidi grassi omega 6, indispensabili per il mantenimento di una buona salute.

Inoltre esistono gruppi di piccoli produttori che utilizzano strategie sostenibili di produzione, come avviene con l’organizzazione RSPO per l’olio di palma, i quali rendono disponibile un prodotto più compatibile con l’ambiente e non proveniente da aree deforestate (RSPO è un acronimo da Roundtable on Sustainable Palm Oil, che significa tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile).

Comunque dobbiamo porci la domanda: è giusto utilizzare l’olio di palma per farne uso alimentare o anche per farne sapone? La stessa domanda dobbiamo porcela per qualsiasi altro olio o grasso che usiamo: ad esempio è giusto che noi usiamo l’olio d’oliva, alimento così prezioso per la nostra alimentazione e per la nostra salute, per farne sapone?

In questa pagina quindi affronteremo i principali aspetti legati all’impatto ambientale delle coltivazioni di piante da olio o all’uso di grassi animali usati nel sapone.

Al di là di quelle che saranno le mie considerazioni personali che seguiranno, vi consiglio di leggere una documentazione molto seria ed approfondita fornitami da Marco Giovannoni, un agronomo tropicalista che è vissuto tutta la vita nelle aree tropicali e subtropicali occupandosi sia degli aspetti legati alla sua cultura agronomica, sia di dare sostegno, tramite ONLUS nelle quali ha operato, alle popolazioni indigene vittime di guerre o costrette a vivere in condizioni di grave indigenza.

Se volete leggere il suo articolo potete scaricarlo cliccando qui.

Una prima considerazione possiamo farla partendo dalla crescita della popolazione mondiale: dal 1975 al 2010 la popolazione mondiale è cresciuta da circa 4 a circa 7 miliardi di abitanti, con un aumento del 71%. La produzione mondiale di oli, nello stesso periodo, è passata da 22,5 a 136,0 milioni di tonnellate, con un aumento percentuale del 500%.

Hanno permesso un simile vertiginoso incremento da un lato il miglioramento delle condizioni di vita e di conseguenza l’aumento del consumo pro-capite di oli vegetali (passato da 5,5 kg a 19,5 kg per anno per persona), ma il vero contributo è stato dato dalla disponibilità via via crescente di oli vegetali a basso costo, due in particolare: l’olio di palma e l’olio di soia che attualmente rappresentano rispettivamente circa il 33% ed il 28% del totale della produzione mondiale.

Proviamo a stimare il consumo minimo pro-capite di olio vegetale: un adulto medio mangia verdura due volte al giorno che condisce con un cucchiaio di olio, per un totale di 15 gr circa al giorno, che su base annua sono pari a 5,5 kg. Un bambino ovviamente consuma molto meno olio per cui in passato, quando c’erano molti più bambini rispetto ad oggi la media del consumo si abbassava ulteriormente. In realtà si usavano oli vegetali anche per cucinare, ma in piccola quantità, dato che venivano usati per tale scopo prevalentemente grassi saturi (burro o strutto).

Quindi quel consumo unitario pro-capite di 5,5 kg/anno del 1975 si comprende facilmente. Oggi invece, nei paesi cosiddetti sviluppati, si usano molto meno grassi animali per cucinare, per motivi legati alla salute, ed al loro posto si usano invece oli vegetali, per cui il consumo minimo di olio vegetale raddoppia circa a 11 kg/anno, ai quali dobbiamo aggiungere circa 8 kg/anno per usi industriali (il 30% del consumo totale), ed ecco che arriviamo a comprendere anche il consumo pro-capite di oggi (19,5 kg/anno).

Facciamoci una prima domanda: ci sono sprechi o esagerazioni nel consumo attuale di oli o questo consumo è fatalmente legato al nostro modo di alimentarci o di utilizzarli in altro modo? Circa due terzi di questi oli segue la via alimentare, mentre un terzo segue la via industriale, per produrre sapone, come combustibile per autotrazione o altro. Se infatti potessimo eliminare o ridurre eventuali sprechi diminuiremmo la domanda di olio di palma e porremmo un freno alla deforestazione.

La risposta a questa domanda io la conosco, ma ciascuno di noi dovrebbe darsela nel suo piccolo osservando i propri consumi criticamente: tutte le volte che mangiamo un gelato, una brioche, un dolce confezionato industrialmente, un grissino, un cracker, quasi sicuramente dentro c’è un olio vegetale, molto spesso olio di palma.

Siamo proprio sicuri che questo tipo di alimenti ci serva? Per quelli della mia età se ci ricordiamo di quello che mangiavamo da bambini molto probabilmente dovremmo concludere di no: come avremmo fatto infatti a sopravvivere senza tutti questi prodotti “indispensabili” dei quali allora non c’era neppure l’ombra?

Potremmo però pensare che basterebbe non utilizzare olio di palma in tutti questi alimenti “indispensabili” ed il problema sarebbe risolto. Ed invece questa sarebbe solo una falsa soluzione per i motivi che seguono.

Quando infatti coltiviamo la palma otteniamo, per ogni ettaro di terreno, circa 4300 kg di olio, 4000 dalla polpa e 300 dai semi (palmisti).

Se invece coltiviamo l’ulivo questa resa scende a 2000 kg, per il cocco a 1350 kg e via via diminuendo 760 kg per le arachidi, 570 kg per il girasole, e sino a 140 kg per il mais.

La superficie mondiale attualmente disponibile per le coltivazioni non è illimitata, ma invece scarsa , la terra coltivabile si riduce ogni anno per molte ragioni, non ultimo l’effetto serra, e la resa di produzione di cereali, cresciuta sempre in passato a partire dall’introduzione dei fertilizzanti chimici in agricoltura, negli ultimi dieci anni ha iniziato a diminuire, rivelando la fallacità di quel tipo di coltivazione.

Quindi se noi scegliessimo di spostare il consumo di oli da quello di palma ad esempio a quello di oliva, riducendo il primo ed aumentando corrispondentemente il secondo, avremmo bisogno di una superficie di terreno più che doppia. Se al posto dell’olio di palma consumassimo olio di girasole di una superficie 7.5 volte più grande, e 10 volte più grande se consumassimo in alternativa olio di soia.

Con la carenza di terreno agricolo coltivabile mondiale, se facessimo questa scelta, saremmo costretti a sottrarre terreno alla coltivazione dei cereali, meno redditizia di quella delle piante da olio, facendone lievitare immediatamente il prezzo con ripercussioni dirette sulle popolazioni mondiali più povere, che sopravvivono prevalentemente con i cereali.

Il rimedio quindi, sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali, mi sembra peggiore della malattia che esso vuole curare, e buono solo per giustificare coscienze superficiali, come quelle di certi cattolici che si confessano e fanno la comunione alla domenica ed al lunedì tornano ad evadere le tasse…

L’unica soluzione possibile e vera è abbassare o annullare i consumi superflui, ed eliminare totalmente gli sprechi.

Tra gli usi industriali è giusto utilizzare olio di palma come biocarburante? Sicuramente è una sciocchezza: è vero che bruciando olio di palma il bilancio del carbonio sarebbe alla pari, tanto ne prendono le piante dalla CO2 dell’aria, altrettanto ne restituiscono nella combustione. Ma se, per fare spazio alle coltivazioni, dobbiamo bruciare milioni di ettari di foresta tropicale, immettendo nell’atmosfera milioni di tonnellate di CO2, ciò sembra cosa stupida.

E’ indispensabile produrre il sapone o esso si può ritenere come un consumo superfluo? Direi che il sapone è un prodotto fondamentale per l’igiene e quindi per la salute umana e quindi non possiamo fare a meno di produrlo.

E’ indispensabile usare l’olio di palma nel sapone? Secondo me certamente si, per due ragioni: la prima è che esso sembra essere stato prodotto apposta dalla natura per farne sapone, ed il perché è spiegato nelle pagine di questo sito, mentre invece il suo uso alimentare non è consigliabile; la seconda è invece che se lo sostituissimo con un altro olio vegetale (ad esempio quello d’oliva) ricadremmo fatalmente nel ragionamento appena visto.

Potremmo è vero sostituire l’olio di palma con un grasso saturo di origine animale (sego, come fa l’industria del sapone americana, o strutto) ma dovremmo aprire un secondo capitolo molto oneroso sulla sostenibilità ambientale dell’allevamento di animali. Il consumo di carne, cresciuto enormemente negli ultimi cinquant’anni, è infatti responsabile della deforestazione di circa il 30% della foresta amazzonica, dell’immissione nell’atmosfera di un terzo circa di tutti i gas serra, della perdita di fertilità dei terreni calpestati dagli zoccoli dei miliardi di animali allevati ed infine della sottrazione dei cereali dall’alimentazione umana per usarli nell’alimentazione animale.

Possiamo stimare che circa 1 miliardo di persone oggi vivano al mondo in condizioni di assoluta indigenza, se non proprio in sofferenza per fame, perché le popolazioni ricche occidentali hanno scelto di farsi del male alla salute consumando tutta la carne che viene oggi consumata.

Quindi non ce la prendiamo con l’olio di palma come se fosse il diavolo, ma cerchiamo di ragionare sempre in termini di sostenibilità per ogni nostra scelta, rinunciando a tutti i consumi che non sono indispensabili, e che fanno invece un grave danno all’ambiente ed all’uomo. La causa vera della deforestazione sono i consumi superflui e gli sprechi dei paesi ricchi e l’enorme popolazione mondiale, cresciuta ben oltre le possibilità e la sostenibilità consentite dal pianeta terra.

Ricordiamo infine che l’olio di palma per tante popolazioni costituisce forse l’unica possibilità di crescita economica e di sviluppo sociale, e per alcune ancora oggi l’unica possibilità di sopravvivenza.

Qualche considerazione per concludere legata all’olio di cocco, così importante nella produzione di sapone.

L’olio di cocco viene messo spesso sullo stesso piano dell’olio di palma per il suo impatto ambientale presunto. Questo non è corretto: la produzione mondiale di olio di cocco (2,8% del totale mondiale degli oli) è rimasta negli ultimi 35 anni praticamente costante (vedi grafico nell’articolo di Marco) e quindi non ha contribuito affatto alla deforestazione, se non in misura veramente marginale e trascurabile, anche per effetto della bassa resa di produzione per ettaro del cocco, pari a circa 1/3 di quella della palma, che ne ridimensiona praticamente l’interesse economico.