TECNICHE PER FARE IL SAPONE

LA TECNICA A FREDDO

Sicuramente il modo più semplice per fare un sapone è il cosiddetto processo a freddo. In questo processo non si fornisce calore dall’esterno alla massa reagente, ma semplicemente la si lascia, opportunamente coibentata, sviluppare il calore di reazione dall’interno della massa (la reazione di saponificazione è esotermica, cioè genera calore), consentendo l’innalzamento della temperatura ed un progressivo decorso della reazione.

Con questa tecnica la reazione di saponificazione può essere ritenuta completa solo dopo almeno 48 ore, a titolo precauzionale, e quindi, prima che sia trascorso tale tempo, occorre maneggiare il sapone solido con i guanti in gomma protettivi.
Il locale dove si è deciso di operare deve essere dotato di un lavello in acciaio inox o in ceramica, con tubazioni di scarico possibilmente in plastica. Può andar bene la cucina, soprattutto se possiede un ventilatore per il ricambio dell’aria ambiente.
In pratica si procede in questo modo, rispettando temporalmente la sequenza così come essa viene esposta:
SCELTA DELLA RICETTA E DEI PARAMETRI DI LAVORO
Si costruisce la ricetta con le metodologie esaminate (sapone eutettico o altro genere) e si definisce se si vuole far andare in gel il sapone scegliendo gli opportuni valori della concentrazione soda e della temperatura di miscela. Per miscele di oli che si vuole essere sicuri di gelificare completamente, scegliere una temperatura di miscela oli-soda compresa tra i 50°C ed i 55°C, ed una percentuale di concentrazione della soda del 28-30%.
Se invece non importa che si realizzi la gelificazione completa si può lavorare con una temperatura di miscela oli-soda compresa tra i 25°C ed i 45°C e più alte concentrazioni della soda, ad esempio del 40% per risparmiare tempo di stagionatura.

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PREPARAZIONE DEGLI OLI ESSENZIALI
Una volta scelta la profumazione desiderata e la quantità di oli/grassi che si intende saponificare, si procede a misurare tramite pipette graduate le quantità in volume dei vari oli essenziali (OE), che verranno messi nell’apposita tazza ad essi dedicata o, se si possiede una bilancia precisa al decimo di grammo, si pesano gli OE dentro la tazza.
Il dosaggio totale degli OE può variare da 10 a 30 ml per kg di oli/grassi, a seconda dei gusti e delle preferenze individuali. Normalmente ci si orienta nel mezzo, cioè sui 20 ml per kg di oli.
Mescolato bene il tutto, si copre con un piattino o con un foglio di politene e si lascia riposare per almeno 1 ora (sarebbe meglio preparare gli OE la sera precedente per farli ben amalgamare).

PESATURA DEGLI OLI E DEI GRASSI
Una volta definita la ricetta che si vuole eseguire, occorre pesare tutti gli oli ed i grassi, uno alla volta, all’interno del recipiente di acciaio inox nel quale sarà preparato il sapone. Non importa che le pesate dei grassi corrispondano al grammo alla ricetta di partenza, l’importante è solo il calcolo esatto della soda.
Si dispone quindi la pentola sulla bilancia, la si pesa vuota, e poi si procede all’azzeramento della tara. Si aggiunge quindi il primo ingrediente nella quantità desiderata e si segna su un foglio il suo peso esatto. Si procede quindi ad azzerare di nuovo la tara ed a pesare il secondo ingrediente e così via sino all’ultimo. Il peso della tara è necessario nel caso spiacevole che la bilancia si spenga durante le pesate, per ricostruire esattamente le quantità introdotte.
E’ consigliabile pesare per primi gli ingredienti solidi (burro, grasso di cocco, burro di karitè, strutto, sego ecc), in quanto l’operazione di pesatura al grammo risulterà più agevole se nella pentola non ci sono sostanze liquide, in modo da poter togliere agevolmente dalla pentola eventuali quantità eccedenti rispetto a quanto deciso.

CALCOLO DELLA SODA E DELL’ACQUA
Una volta noto il peso effettivo di ciascun grasso che si vuole saponificare, occorrerà calcolare il quantitativo di soda, moltiplicando il peso in grammi di ciascun olio/grasso che abbiamo pesato nella pentola per il SAP di sicurezza cioè per il valore minimo dell’intervallo dei SAP.
Una volta calcolata la soda, al netto dello sconto di 1-2%, ed arrotondata sempre per difetto, occorrerà calcolare l’acqua nella quale dovremo scioglierla e procedere a pesarla in un contenitore a parte nel quale effettuare la dissoluzione della soda.
La soda in commercio è disponibile sia in forma di perle, aventi la dimensione di una piccola lenticchia, che sotto forma di scaglie. Ambedue sono equivalenti e non presentano problemi di dosaggio. Quella in scaglie presenta qualche piccolo problema in più di polverosità per cui richiede, oltre agli occhiali protettivi, anche la mascherina filtrante per la bocca ed il naso.
La soda solida può essere pesata in un contenitore di plastica perfettamente asciutto, e, in via prudenziale, è necessario indossare i guanti protettivi per tale operazione, magari aiutandosi per il peso con un cucchiaio in acciaio inox.
Una volta che anche la soda sia stata pesata esattamente al grammo o al decigrammo, a seconda della precisione di lettura della bilancia, occorrerà procedere allo scioglimento della soda in acqua, aiutandosi col cucchiaio in acciaio inox.
Questa operazione va fatta, come già detto, senza fretta e senza timore, versando lentamente la soda nell’acqua (e mai viceversa l’acqua sulla soda) e mescolando dolcemente col cucchiaio.
Se l’operazione viene fatta lentamente, la soluzione inizia a scaldarsi, per effetto del calore di soluzione sviluppato, portandosi nel giro di qualche manciata di secondi ad una temperatura vicina ai 95°C (nessuna paura la soluzione di soda va in ebollizione a temperature tra i 115 ed i 125°C, in funzione della concentrazione). Se la temperatura ambiente è elevata possono formarsi vapori contenenti piccole percentuali di soda; è meglio operare vicino ad una cappa aspirante o vicino ad una finestra aperta, proteggendosi con la mascherina dotata di filtro.
Continuare a mescolare lentamente, per rimuovere eventuali grumi che la soda tende a fare sul fondo del recipiente, sino a che la soluzione diverrà limpida e non si vedranno più sul fondo del recipiente eventuali residui solidi di soda.
A questo punto occorrerà misurare la temperatura della soluzione con un termometro, sempre mescolando lentamente, ed annotarla su di un foglio di carta, quindi si procederà a coprire il recipiente che la contiene, onde evitare che i vapori di soda vadano in giro per il locale, ed aspettare che la soluzione si raffreddi sino alla temperatura di miscela oli-soda scelta in precedenza. Occorrerà almeno mezz’ora perché la soda si raffreddi o anche qualche minuto in più, in funzione dello spessore e della natura delle pareti del recipiente che contiene la soluzione sodica.
Per accelerare il raffreddamento della soluzione sodica si può immergere il recipiente che la contiene in un recipiente più grande contenente acqua fredda e ghiaccio, facendo attenzione a non versare accidentalmente acqua all’interno della soluzione sodica.
Durante il raffreddamento è bene controllare periodicamente la temperatura della soluzione.
Mentre la soluzione sodica si raffredda occorre iniziare a scaldare sul fuoco, a fiamma bassissima, la pentola che contiene gli oli ed i grassi sino a far raggiungere agli stessi la temperatura di miscela precedentemente scelta (non occorre una precisione da farmacista…).
Quando sia la soda che gli oli hanno raggiunto all’incirca la medesima temperatura (non importa che la temperatura sia esattamente la stessa ma che le due temperature siano abbastanza vicine) disporre la pentola degli oli nel lavello e versarvi dentro lentamente la soluzione sodica, mescolando con calma con un cucchiaio e rilevando la temperatura di miscela che è un parametro importante e che è bene annotare su un foglio di carta. Si osserverà che gli oli inizieranno a cambiare di colore rimanendo inizialmente piuttosto liquidi. Una volta versata e ben amalgamata tutta la soluzione di soda negli oli, si versano gli oli essenziali e successivamente si può iniziare a mescolare energicamente col miscelatore ad immersione (pimer), interrompendo ogni tanto per qualche secondo per far riposare il motore elettrico.
Si osserverà che, appena il pimer inizia la sua energica azione miscelante, la massa di oli e soda cambierà rapidamente colore verso un crema pallido, iniziando più o meno lentamente ad essere più viscosa. In questa fase gli ingredienti che stiamo mescolando formano un’emulsione tra la fase acquosa (soluzione sodica) e quella oleosa, entrando intimamente in contatto e dando luogo all’avvio della reazione di saponificazione. Si osservano in questa fase anche delle bollicine sulla superficie della massa dovute all’aria inglobata nell’acqua, che fuoriesce col riscaldamento e con la miscelazione. Mano a mano che la reazione inizia e si formano le prime molecole di sapone, queste ultime provvedono a rendere più stabile l’emulsione e ad accrescerne la viscosità.

Continuando a mescolare, sempre con molta calma e senza alcuna fretta o timore (le cose stanno andando a gonfie vele) ad un certo punto si inizierà ad osservare che la nostra pasta saponosa assumerà sempre più la consistenza di una maionese o se vogliamo di una crema. Se lasciamo cadere dalla punta del pimer qualche goccia sulla superficie della massa, osserveremo che essa lascerà una traccia ben visibile. Abbiamo raggiunto il cosiddetto nastro, cioè abbiamo emulsionato a sufficienza la fase liquida e quella oleosa e non occorre procedere oltre con la miscelazione, dato che l’emulsione è diventata stabile e gli ingredienti sono in intimo contatto tra loro.
La prima volta che si fa il sapone, il tempo necessario a raggiungere il nastro sembra un’eternità, ma dopo qualche esperienza raggiungere il nastro non costituirà più un problema.
La presenza di acidi grassi liberi negli oli, come nel caso di oli vecchi con inizio di irrancidimento, accelera notevolmente il raggiungimento del nastro, in quanto gli acidi grassi liberi reagiscono istantaneamente con la soda.
Ma torniamo al nostro nastro (si perdoni il gioco di parole). A questo punto occorrerà versare (aiutandosi con un nettapentole in silicone) la pasta nello stampo.
Una volta riempito quest’ultimo, si procede ad assestare la massa dentro lo stampo con piccoli colpi sul tavolo per evitare la formazione di bolle (la massa è piuttosto viscosa e l’aria esce con difficoltà) e quindi ad avvolgere lo stampo con un foglio di politene per alimenti e poi con una spessa coperta,  o altro tipo di coibente, nella quale lo stampo riposerà.

Se si sono tenute concentrazioni della soda tra il 35% ed il 45%, occorrerà togliere il sapone solidificato dallo stampo dopo 6 ore, quando ha una temperatura di circa 35-40 °C, e procedere a tagliarlo in pezzi, se ovviamente riscontriamo che esso è indurito a sufficienza. Se invece si è operato con concentrazioni di soda inferiori al 35%, è bene aspettare almeno 24 ore che il sapone sia completamente raffreddato per estrarlo dallo stampo e tagliarlo.

Trascorso il tempo necessario, occorre togliere il sapone dallo stampo. Tale operazione va fatta con i guanti protettivi, dato che per almeno 48 ore la reazione di saponificazione può non essere completata e può esistere ancora soda libera nella massa. Gli stampi in plastica possono dare qualche problema con l’estrazione del sapone, una volta che esso si sia raffreddato e solidificato.
Ci si può aiutare mettendo lo stampo nel congelatore per un paio d’ore.
Invece con gli stampi in legno smontabili, foderati con carta per forno o con film di politene, l’operazione di estrazione è molto facile e non crea alcun problema.

LA TECNICA TUTTO A FREDDO

Questa tecnica si basa sul fatto fisico che la soda, quando si scioglie in acqua, sviluppa calore e porta rapidamente la soluzione sodica a temperature elevate.
Per sfruttare questo calore, invece di far raffreddare la soluzione sodica sino a 45-55°C e contemporaneamente riscaldare gli oli alla stessa temperatura, lasciamo che il calore della soluzione sodica calda provveda ad innalzare, durante la miscelazione, la temperatura degli oli, portando la massa reagente al valore desiderato.

In ogni caso questa tecnica è da usare solo quando si è più esperti e quando non importa la completa gelificazione, in quanto non consente di controllare facilmente il valore della temperatura di miscela.
Praticamente si opera esattamente come nel processo a freddo sino alla dissoluzione completa della soda in acqua, solo che a questo punto si versa lentamente la soluzione sodica calda negli oli freddi e si mescola con un cucchiaio sino alla stabilizzazione della temperatura di miscela che si rileva col termometro a sonda. A questo punto si versano gli oli essenziali e si inizia a mescolare col pimer sino al raggiungimento del nastro come nel caso precedente.

Se si iniziasse a mescolare immediatamente col pimer appena versata la soluzione sodica bollente negli oli freddi potrebbero verificarsi fenomeni di ammassamento istantaneo (generazione rapidissima di sali di sapone per effetto di picchi di temperatura elevati all’interno della massa reagente).

Il vantaggio di questa seconda tecnica consiste nella sua estrema semplicità: essa consente inoltre di risparmiare circa 1 ora di tempo. Lo svantaggio consiste nella difficoltà di controllare la temperatura di miscela, in particolare se essa cresce sopra i 55-60°C, fatto che potrebbe determinare un rapido indurimento della pasta saponosa e difficoltà di versamento nello stampo.

LA TECNICA A CALDO

Con la tecnica a caldo si fornisce alla massa reagente calore dall’esterno, in aggiunta al calore di reazione che si sviluppa all’interno, in modo da garantire la completa saponificazione entro il termine di tempo previsto per la cottura. Questo metodo quindi è adoperato principalmente quando si vuole avere un sapone immediatamente utilizzabile. In genere esso è preferito dai neofiti del sapone le prime volte, proprio per non dover aspettare il tempo minimo di stagionatura di 4-8 settimane. In realtà, la stagionatura di un sapone prodotto a caldo è più necessaria di quella dello stesso sapone prodotto a freddo, per via della maggiore quantità di acqua che dovrà evaporare dall’interno del sapone. In realtà un sapone prodotto a caldo si comporta in modo diverso da uno prodotto a freddo, probabilmente perché i sali di sapone cristallizzano in modi diversi, per cui vale la pena di provare a fare il sapone con questa tecnica per imparare a valutarne praticamente le differenze.

Esistono diversi sistemi per fornire alla massa reagente calore: mediante cottura a bagnomaria, mediante un forno elettrico o, nei casi più sofisticati mediante apposite pentole di cottura termostatate che mantengono una temperatura costante per il tempo necessario.

Partiamo dal metodo di cottura a bagnomaria che è il più semplice. Con questa tecnica, in considerazione del fatto che l’acqua in ebollizione si mantiene a temperatura rigorosamente costante di 100 °C, basta regolare il solo parametro temporale procedendo ad una lenta e progressiva cottura del sapone sino al completamento della reazione di saponificazione.
Nella cottura a bagnomaria la massa reagente raggiunge, dopo un tempo variabile da circa 10 minuti sino a 30 minuti, in funzione della quantità di acqua adoperata e della temperatura di miscela, temperature di 90-95°C.
Dopo circa 30-40 minuti dal raggiungimento di tale valore massimo, la temperatura della massa diminuisce sino a valori di 85-87°C che si mantengono costanti solo per effetto dello scambio termico con l’acqua in ebollizione nella pentola esterna a quella di reazione. A questi livelli di temperatura,mantenuti per circa 1 ora, si può essere sicuri che la reazione si è completata.

In pratica si procede sino al momento del nastro esattamente come con le tecniche a freddo o tutto a freddo. Unica variante è il maggiore quantitativo di acqua che si adopera per sciogliere la soda: è bene lavorare con concentrazioni della soda del 28%. L’uso di quantità più elevate di acqua potrebbe comportare problemi di rottura dell’emulsione, con separazione di soda ed oli; è quindi necessario prolungare la miscelazione col pimer per un po’ oltre il raggiungimento del nastro per essere sicuri che l’emulsione non si rompa durante la cottura. In ogni caso, anche se si verificasse lo smiscelamento durante il bagnomaria, è sempre possibile intervenire con un cucchiaio di legno mescolando gli ingredienti sino al riformarsi dell’emulsione.
Si procede quindi, esattamente come nel processo a freddo, alla preparazione degli oli essenziali, al peso degli oli e dei grassi, al calcolo della soda, dedotto l’eventuale sconto, alla dissoluzione della soda nell’acqua e quindi alla miscelazione della soluzione sodica con gli oli, secondo la tecnica a freddo o quella tutto a freddo, sino ad oltrepassare con certezza il momento del nastro. Gli oli essenziali si tengono a parte nella loro tazza perché saranno aggiunti dopo la cottura.
In precedenza si è aggiunta acqua nel pentolone nel quale avverrà la cottura a bagnomaria, sino ad un livello tale per cui, immergendo in esso la pentola piena degli oli da saponificare, quest’ultima non galleggi col rischio di rovesciarsi durante la cottura, praticamente sino al livello degli oli. Sul fondo del pentolone, nell’acqua, si può disporre una griglia metallica avente la funzione di far circolare l’acqua in ebollizione anche sotto il fondo della pentola degli oli.
Prima di iniziare a saponificare si porta ad ebollizione l’acqua nella pentola di cottura e si abbassa la fiamma al minimo.
Quando la massa reagente oltrepassa con certezza il nastro, si copre la pentola del sapone con un coperchio, la si dispone entro la pentola di cottura, e si inizia la cottura del sapone, sempre mantenendo al minimo l’ebollizione dell’acqua all’interno dell’intercapedine tra le due pentole.

Gli oli essenziali, con la cottura a bagno maria, non vengono aggiunti al momento della miscela degli ingredienti, bensì a fine cottura, per evitare che evaporino.

La cottura del sapone sarà mantenuta per il tempo di un’ora a partire dal raggiungimento dei 92-93 °C. Durante la cottura, ogni tanto, è bene dare una controllata al sapone che cuoce, mescolando lentamente la massa gelificata presente nella pentola del sapone. Si osserverà facilmente, in tale fase, il fenomeno del gel, legato alla temperatura elevata della massa saponosa.

Terminata la cottura si incorporano gli oli essenziali eventualmente mescolati con farine, erbe secche, argilla ecc. e/o miscelati per diluirli con piccole quantità (max 10 gr per kg di oli) di oli pregiati od oleoliti eudermici, mescolando accuratamente e procedendo rapidamente a mettere il sapone nello stampo o negli stampi (con questa tecnica possono essere adoperati anche stampi piccoli, dato che la saponificazione è terminata).
Si lascia quindi raffreddare lentamente sino al giorno successivo, nel quale si potrà procedere a tagliare a pezzi il sapone o, se il sapone è ancora morbido, sino a quando esso si sarà sufficientemente indurito.
Il sapone fatto con la tecnica a caldo, infatti, dopo il raffreddamento, può risultare più morbido di quello fatto a freddo, per via del maggiore quantitativo di acqua contenuto al suo interno. Con la stagionatura e l’essiccamento il sapone indurirà.

Inoltre la pasta di un sapone fatto a caldo è meno bella ed uniforme di uno fatto a freddo. Comunque la schiuma di un sapone cotto a caldo è diversa da quello fatto a freddo per cui il sapone risulta comunque piacevole, anche se meno appariscente.
A partire dal taglio del sapone, anche se, in linea teorica, esso può essere immediatamente utilizzato, in quanto non c’è al suo interno alcun residuo di soda non reagita, sono comunque necessarie le fatidiche quattro settimane di stagionatura, per consentire l’evaporazione dell’acqua analogamente a quanto si richiede ai saponi fatti a freddo.

COTTURA NEL FORNO ELETTRICO

Se disponiamo di un forno elettrico in grado di mantenere temperature sui 70-80°C (provare prima con un termometro di precisione almeno per 1 ora) si può cuocere il sapone nel forno, anche dentro piccoli stampi in silicone. Si procede quindi esattamente come nella tecnica a freddo, incorporando anche gli oli essenziali, fino al nastro. Si versa il sapone negli stampi in silicone appositi, lo si copre con un foglio di politene resistente al calore e lo si cuoce nel forno a 80-85°C per due ore e mezzo, lasciandolo poi raffreddare nel forno spento sino al giorno successivo.

Il sapone cotto negli stampi in forno risulta molto omogeneo, quasi come quello realizzato a freddo, per cui questa tecnica è adatta per dare forme piacevoli al sapone. Inoltre con questo metodo si può fare piccole quantità di sapone alla volta, anche 300-400 gr di oli per volta.

VARIEGATURA DEL SAPONE

Quelle che abbiamo visto sono le tecniche per produrre un sapone monocolore, sia incolore che colorato. Se invece vogliamo ottenere un sapone con più colori, variegato o stratificato, le cose si complicano un pochino, ma non troppo.

Se vogliamo fare un sapone a strati diversamente colorati (due o al massimo tre) la maniera più semplice è fare il sapone in più riprese nello stesso stampo intervallate tra loro di circa un paio d’ore. Si prepara una quantità di sapone per il primo strato, colorata come si vuole, la si versa nello stampo e si aspetta sino a che esso si sia indurito un po’ (almeno un’ora). Si prepara quindi una seconda quantità di sapone per il secondo strato, colorata diversamente dal primo, la si versa sul primo strato sufficientemente indurito e si aspetta lo stesso tempo e così via, sino all’ultimo strato (per motivi pratici di tempo al massimo tre strati).

Se invece vogliamo un sapone variegato le tecniche di variegatura sono tantissime: ci sono degli artigiani del sapone che sono bravissimi in questo e su You-tube, digitando “saponi swirl”, si possono guardare un sacco di video interessanti per imparare la tecnica.

Le cose che contano per fare un sapone variegato sono essenzialmente quattro:

  1. usare una miscela di oli lenta a reagire, ad esempio cocco 30% ed oliva 70%, e non arrivare alla formazione completa del nastro, ma fermarsi prima, quando la pasta è ancora piuttosto fluida;
  2. partire da una temperatura di miscela bassa degli ingredienti (circa 30°C) per rallentare il più possibile la reazione di saponificazione ed avere quindi una pasta saponosa fluida e lavorabile per almeno 4 o 5 minuti, il tempo necessario per variegare il sapone;
  3. usare più acqua del solito, ad esempio lavorare con una concentrazione soda del 28%, sempre allo scopo di favorire la fluidità della pasta saponosa;
  4. usare coloranti che debbono essere sciolti nell’olio e che non siano quindi solubili in acqua, per evitare che i colori sfumino tra loro durante la reazione e non siano quindi ben netti quando si taglia il sapone.

Come esempio di un sapone variegato prodotto durante i miei corsi sul sapone potete guardare questo VIDEO.

LA STAGIONATURA DEL SAPONE

Una volta che il sapone è stato tirato fuori dallo stampo deve essere tagliato in pezzi e stagionato. In linea di principio se esso è stato fatto a caldo, cotto a bagnomaria o nel forno elettrico, il sapone potrebbe essere già utilizzato in quanto la reazione di saponificazione si è già completata. Ma questo solo in linea di principio, in quanto comunque questo sapone contiene troppa acqua al suo interno: se lo usassimo si consumerebbe molto in fretta diventando molliccio.

La stagionatura del sapone si effettua per due ragioni principali:

  1. per diminuire il contenuto di acqua nel sapone in modo che esso diventi sufficientemente duro e non crei proliferazioni batteriche, possibili anche se molto improbabili per via del pH elevato del sapone. Il contenuto di acqua in un sapone ben stagionato deve essere al di sotto del 13% del peso totale del sapone. Se il sapone è stato fatto con una concentrazione della soda del 32% esso contiene all’inizio circa il 20-21% di acqua. Se invece il sapone è stato cotto e quindi si è partiti con una concentrazione della soda del 28% esso conterrà inizialmente circa il 24-25% di acqua. Se infine esso è stato fatto con poca acqua (concentrazione soda del 40%) conterrà il 15% di acqua. In quest’ultimo caso dopo la stagionatura il contenuto finale di acqua può arrivare anche al 10%.
  2. Per consentire all’eventuale soda non reagita che dovesse restare tale nel sapone, ad esempio a causa di insufficiente miscelazione degli ingredienti, di carbonatarsi a contatto con l’aria e divenire quindi inoffensiva. Questa ragione è forse la più importante delle due, in quanto capita spesso che nella barra di sapone appena sformata si senta la presenza di soda non reagita (pizzica sulla punta della lingua). Dopo qualche giorno il sapone non pizzica più e dopo l’intero periodo di stagionatura saremo del tutto sicuri che la soda libera eventuale si sia trasformata in carbonato sodico.

In realtà durante la stagionatura accadono dei fenomeni, all’interno del sapone, che ne modificano la struttura: con l’evaporazione dell’acqua parte dei sali di sapone presenti nella fase solubile vengono espulsi, per mancanza di sufficiente acqua, da quest’ultima e finiscono nella fase insolubile, cristallizzando in modo diverso rispetto ai sali inizialmente presenti nella fase insolubile. In definitiva alla fine della stagionatura (almeno 30 giorni in luogo areato e fresco ma non alla luce diretta del sole) il sapone risulta più duro.

Non ho mai notato che le caratteristiche del sapone migliorino con una lunga stagionatura: ho conservato un sapone fatto con solo olio d’oliva ed una piccolissima percentuale di olio di alloro per circa tre anni, sperando che la sua schiumosità aumentasse e divenisse almeno sufficiente, come si racconta nelle varie scuole saponifere presenti on-line, ma, ahimè, il sapone ha continuato a fare sempre la stessa schiuma (poca) ed a produrre la bavetta. Quindi, almeno secondo la mia impressione soggettiva, una lunga stagionatura non migliora le caratteristiche del sapone, bensì aumenta solo le probabilità che alla fine esso irrancidisca. Il sapone naturale, senza l’uso di conservanti, non è fatto per durare nel tempo.